Tre imprenditori torinesi, giovani, alchemici e visionari, alla conquista del vermouth
Torino è la città dove è nato oltre due secoli fa, nel 1786, il vermouth, nella bottega di monsù Antonio Benedetto Carpano, erborista, miscelando erbe e spezie al vino moscato. Un nettare così buono e particolare che monsù Antonio ne invia una cesta di bottiglie al re Vittorio Amedeo III che aveva casa, Palazzo Reale, proprio di fronte alla sua bottega. Come si dice, ‘chi non risica non rosica’, e quel vermouth ha un tale successo da diventare in breve un prodotto di uso comune a corte, così il coraggioso gesto dello speziale apre la strada a quella che sarà la grande industria Carpano. Prodotto nello stabilimento di Barriera di Nizza, dove oggi c’è la sede di Eataly, fino al 1982, quando il marchio è ceduto alla Branca e la produzione spostata a Milano, nel Novecento il Punt e Mes è conosciuto a livello mondiale. Consumato nel particolare bicchiere griffato, il Punt e Mes, che deve il suo nome a un agente di borsa che nel 1870 ordinava l’aperitivo, pronunciò la frase un punt e mes commentando il rialzo che quel giorno avevano avuto i titoli, negli anni del boom economico è l’aperitivo per eccellenza. Quella bevanda con “Un punto di amaro e mezzo di dolce” fa sognare gli italiani, grazie anche ai caroselli televisivi a base di arei TWA e di ragazze americane che lasciavano il loro amore a Torino, sapendo però che sarebbero tornate per un “appuntamento, appuntamento yes, appuntamento con Punt e Mes”. Su tutto svetta l’iconico logo del Punt e Mes, una sfera che sovrasta una semisfera, uscito dalla penna geniale di Armando Testa, nel 1960.
La stòria l’è bela, fà piasì cuntela
Oggi chi arriva in treno a Torino e scende a Porta Susa, il nuovo centro dei collegamenti su rotaia della città, trova ad accoglierlo in piazza XVIII Dicembre la scultura che rappresenta il Punt e Mes. Una testimonianza che Torino non dimentica, tanto più importante oggi che il vermouth sta vivendo una nuova giovinezza. E qui si inserisce la storia di The Spiritual Machine, azienda torinese che del vermouth prima e ora anche del gin, sta diventando una protagonista importante a livello nazionale, con ambizioni globali. “La stòria l’è bela, fà piasì cuntela”, la storia è bella, fa piacere raccontarla, si direbbe in piemontese, e noi ve la raccontiamo. Tre i soci fondatori: Matteo Fornaca, che si occupa di fundraising, sviluppo di progetti speciali, accelerazione e internazionalizzazione, Matteo Dispenza, responsabile ICT, marketing e comunicazione e Elisa Cravero, amministratore delegato e direttore operativo. “The Spiritual Machine è nata come società nel 2017, ma l’origine del nostro interesse al settore dei vermouth è antecedente. – racconta Matteo Fornaca – Io e Matteo Dispenza ci occupavamo di turismo e promozione del territorio e da sempre curavamo ‘Esperienza vermouth’, workshop rivolto a professionisti del food & beverage, sotto la guida di Fulvio Piccinino, esperto di vermouth a livello internazionale. Così venendo a contatto con i bartender e un pubblico professionale, abbiamo compreso che c’era un ritorno al vermouth”. Nel 2015 ai due Matteo viene chiesto di realizzare di un vermouth. “Cogliamo l’opportunità al volo e seguiamo il processo tradizionale affidandoci a una distilleria, scontrandoci però con una procedura molto lunga e complessa che ha richiesto 18 mesi e un quantitativo minimo di avvio di 2.000 litri di produzione – continua Formaca – ci siamo quindi resi subito conto che in un momento in cui era in crescita la domanda, i tempi e i costi per potere realizzare il prodotto rappresentavano un grosso ostacolo”. I due giovani imprenditori torinesi decidono allora di vendere le loro quote e fondano a dicembre del 2017 una nuova società, The Spiritual Machine, inserendo un terzo socio, Elisa Cravero, cuneese, economista e imprenditrice. Cambia anche il modello di business: non produrre ma consentire a qualunque bartender, enoteca, ristoratore o altro professionista del food & beverage, la possibilità di creare bevande alcoliche personalizzate, in maniere più veloce e più economica, con volumi più contenuti, attraverso l’offerta di kit di semilavorati non a base di spezie secche, ma di distillati e tinture: “Il kit nelle nostre intenzioni – prosegue Matteo Fornaca – avrebbe dovuto accelerare il processo di realizzazione del prodotto, permettendo a tutti, con un processo quasi alchemico, di farsi il proprio prodotto, vermouth, gin o bitter, goccia a goccia, nel retrobottega o nel tempo libero e poi, ottenuto il prodotto desiderato, di replicarlo, sempre in maniera autonoma, semplicemente acquistando i refill dei semilavorati”.

Un start up in cerca di un business
L’idea però non funziona e i kit giacciono invenduti in magazzino, finché nel 2018, una cantina chiama l’azienda dicendo: “A me interessa molto fare il vermouth con il mio vino, ma da solo non lo farò mai. Voi sareste in grado di farlo?”. “Con tutti quei kit invenduti, rispondo subito di sì – ricorda Elisa Cravero – e concordiamo un primo ordine di 100 bottiglie. Rivediamo i processi, stabilizziamo il prodotto, lavoriamo gomito e gomito con una distilleria e in poco tempo, consegniamo le cento bottiglie. Tre giorni dopo il cliente richiama dicendo che le ha terminate e che ne vuole altre 1.000. Avevamo svoltato. Da allora abbiamo sviluppato il prodotto, la parte commerciale, la bottiglia, il package, i rapporti con le distillerie e i fornitori. Investiamo un sacco di energie e risorse nella R&S e nei laboratori perché abbiamo compreso l’importanza di avere un know-how molto forte, ma nel contempo sappiamo di dover essere altrettanto veloci e flessibili nei tempi di risposta al cliente, e al suo time-to-market”. Certo, in questi anni non sono mancati gli errori che però sono sempre stati visti come un’opportunità: “Una volta abbiamo consegnato 300 bottiglie di vermouth a un cliente molto importante e dopo cinque giorni il prodotto ha avuto dei problemi, derivanti dalla cantina che aveva fornito il vino e che noi non avevamo adeguatamente verificato, così è nato il nostro protocollo cantine per garantire la massima qualità del prodotto”, ricorda in proposito Elisa. “Oggi i nostri prodotti sono riconosciuti dal mercato come premium – dice Matteo Fornaca – e un buon numero dei nostri vermouth hanno vinto medaglie in competizioni internazionali. Ad esempio il Vermouth chinato del Mago, prodotto esclusivo del ristorante Magorabin dello chef stellato Marcello Trentin, ha vinto la medaglia d’oro al Concorso Internazionale di Bruxelles con la motivazione che è un vermouth che ha ridefinito la categoria”.

Nel futuro di The Spiritual Machine c’è anche grande spazio per il gin. A loro si è affidato lo chef Giancarlo Morelli, stellato milanese, per realizzare il suo Gin di Gian, un gin fortemente evocativo, contenete spezie e profumi che hanno segnato i passaggi e gli eventi più importanti della sua vita e della sua cucina. Fornaca, Dispenza e Cravero, oggi sono a capo di una struttura formata da otto collaboratori, con un’età media intorno ai trent’anni e hanno appena chiuso un fundraising davvero particolare: “Cercavamo 500.000 euro, ma soprattutto 100 investitori che però oltre ai 5.000 euro avrebbero dovuto conferire competenze diverse, utili quanto e più del denaro, per il nostro progetto di crescita”, dice Fonaca. Ne hanno trovati 95, hanno chiamato il gruppo “I Botanici” e hanno già fatto la loro seconda convention alle OGR di Torino che è stata un successo. “Tra dieci anni, ciascun premium bar e ristorante stellato al mondo, avrà i suoi spirits personalizzati”.
E saranno made in The Spiritual Machine”, parola di Matteo Fornaca, Matteo Dispenza ed Elisa Cravero.
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