Vigne perdute e ritrovate tra mito e leggende
Passeggiando tra le rovine della mitica Pompei potreste imbattervi in un simpatico serpentello, non abbiate paura di lui, è l’ Agathos Daimon, dal greco il Demone Buono. Nella mitologia dell’ antica Grecia era considerato una divinità protettrice dei vigneti e del grano, infatti i greci tenevano l’ effige nelle loro case come buon auspicio.
Presente in seguito anche nella mitologia romana come Genius Loci, era associato in genere alla fortuna, alla salute e alla saggezza. E’ evidente che il termine greco demone ha un’ accezione completamente diversa da quella cattolica a cui noi siamo abituati, un Daimon (essere divino) si trova a metà strada tra ciò che è divino e ciò che è umano e spesso ha funzione di intermediario tra i due. Gli Agatodemonisti, erano chiamati dai romani coloro che bevevano il vino puro non mescolato, per propiziarsi la divinità in occasione di simposi religiosi, una stranezza per il tempo, il vino puro era considerato imbevibile, infatti veniva sempre miscelato con acqua, miele, essenze varie. Il bellissimo affresco riprodotto in foto che mostra i due serpentelli, è stato ritrovato in ottime condizioni in una domus romana, precisamente nel Larario, ossia il luogo dedicato al culto nella città di Pompei. E da qui comincia il nostro viaggio alla ricerca della vigne perdute e ritrovate. Se è vero che furono i Greci a introdurre durante i loro viaggi di colonizzazione la vitis vinifera in Italia, tuttavia furono i Romani a sviluppare appieno le potenzialità vinicole dei territori vesuviani, impiantando tra l’altro le qualità di viti dette “Vesuvio” che secoli dopo diedero vita al Lacryma Christi.

La leggenda narra che quando l’ angelo Lucifero fu allontanato dal Paradiso, ne rubò un pezzo per portarlo con se mentre rotolava nell’ abisso. L’impatto fu così violento che si creò una grande voragine che diede origine al Monte Somma, Cristo versò copiose lacrime di dolore per l’accaduto proprio su quel suolo, dove di lì a breve sarebbero nate le prime piante di viti vesuviane. Intorno al II sec A.C. Pompei conobbe un periodo di grande crescita economica, produceva ed esportava vino ed olio in tutto il Mediterraneo divenendo in breve tempo un punto di riferimento per il commercio di vino in tutto il mondo antico. Negli scavi archeologici sono state ritrovate tracce di vigne all’ interno delle mura, i pompeiani avevano una profonda conoscenza dei segreti della coltivazione e della vinificazione.
Il vino era la parte essenziale di ogni banchetto, diluito con acqua calda o fredda a secondo i gusti e la stagione, berlo puro non era considerato di buon gusto, sia perché le cene abbondavano di brindisi, sia perché erano molto alcolici. La maggior parte dei vini subiva una vera e propria “sofisticazione” con l’aggiunta di acqua di mare, spezie, gesso, essenze, ostriche tritate. I vini più pregiati venivano invecchiati per 20 anni e più , alcune famiglie specializzate nella viticoltura usavano le anfore per l’invecchiamento del Mulsum, un vino dolcificato con il miele.

Lontani nel tempo, moderni nelle tecniche
Tuttavia, sebbene il Vinum Pompeianum fosse per caratteristiche e gusto profondamente diverso dal nostro, è affascinante notare come le conoscenze e le tecniche utilizzate allora, siano rimaste valide e molto simili a quelle che utilizziamo oggi. L’esempio più evidente sono i Dolia, recipienti di terracotta che venivano interrati al fine di controllare la temperatura durante la fermentazione, insomma un uso del freddo molto simile alle tecniche moderne. Nel 1996 furono ritrovati alcuni vinaccioli durante uno scavo, l’esame del Dna confermò che si trattava di Falanghina, Coda di Volpe, Greco, Aglianico, Piedirosso e Sciascinoso, la Sovrintendenza Archeologica si rivolse alla Famiglia Mastroberardino, storica nella produzione del vino, per cercare di ripristinare i vigneti esistenti a Pompei prima dell’ eruzione del Vesuvio, che dopo le ultime scoperte pare che risalga all’ ottobre del 79 d.c. Venne creato un vigneto sperimentale dove mettere a dimora alcune barbatelle, solo vitigni a bacca rossa, perché erano quelli che davano il meglio di sé. In tutto circa un ettaro di vigna suddivisa in tanti piccoli orticelli tra i muri dell’ antica Pompei, affascinante ma davvero complicato da gestire, seguendo le tecniche di allevamento degli antichi romani, vigna a palo e alberello. Nel 2001 la prima annata di Villa dei Misteri, un blend di piedirosso e sciascinoso, collocata all’ asta e distribuita tra appassionati in ogni parte del mondo, i proventi devoluti per il restauro del sito archeologico. Dal 2008 si è deciso di piantare sempre in quel suolo l’aglianico, vitigno notoriamente irpino, che conferisce al vino più concentrazione e struttura, il Villa dei Misteri di oggi è un blend di aglianico, piedirosso e sciascinoso, 1700 bottiglie annue, con una resa di 30 quintali per ettaro. Un vino affascinante che matura per 24 mesi in barrique e affina 60 mesi in bottiglia, dai profumi speziati, frutta matura, note balsamiche, cenere, elegante, fresco, leggermente amaricante nel finale, grazie alla concentrazione di potassio nei terreni.

La nascita del Falerno
E, ancora nel mito, seduti al bancone del Thermopolium di Pompei, un winebar ante litteram dove sono stati ritrovati resti di cibo e vino, era possibile ordinare all’ haustores, il sommelier dell’ epoca, un bicchiere di Falernum, ma attenzione, era un vino ricercato, un Grand Cru. Tanto che il poeta Marziale diceva: “ se vuoi bere del vino, spendi un sesterzio, del buon vino te ne costerà due, ma se vorrai un Falerno, devi essere pronto a pagare sei”. Un vino antichissimo da sempre prodotto nell’Ager Falernus, ai piedi del Monte Massico in provincia di Caserta. La leggenda narra che, durante l’assedio di Capua, nella II guerra Punica, Annibale e i Cartaginesi, misero a ferro e fuoco tutta la zona decidendo astutamente di risparmiare un piccolo podere coltivato da un contadino di nome Falernus. In quel mentre, il Dio Bacco che era in viaggio per l’Occidente, stanco ed affamato, decise di fermarsi proprio nel podere di Falernus, che nonostante l’imperversare della guerra, offrì all’ ospite sconosciuto tutto ciò che possedeva nell’orto. Commosso da tanta generosa ospitalità, il Dio trasformò tutto il declivio in una splendida e lussureggiante vigna di Falerno!
- Quando Bacco si commmosse - Gennaio 20, 2023