La gente va dove c'é energia 1

La gente va dove c’é energia3 min read

Spesso sentiamo dire: “chi avrebbe voglia di chiudersi dentro un teatro d’estate?”
Chiedo sommessamente: non succede la medesima cosa anche d’inverno?
Non perdiamoci: per la messinscena delle produzioni “in estiva”, si usa, da tempo, prediligere “altri spazi”, non specificamente teatrali, anzi, il più delle volte ben lontani dall’assomigliare a una sala o a un’arena: ville abbandonate, siti archeologici, piazze, castelli, torri, addirittura Cantine di grandi produzioni enologiche.

Sono luoghi suggestivi, conosciuti, vissuti, percorsi quotidianamente – il più delle volte – dalle comunità nelle quali si trovano: si passa frequentemente per quelle piazze, si va frequentemente a passeggiare in quella villa, si conosce bene quel sito archeologico, lo si frequenta – a prescindere dallo spettacolo che vi viene messo in scena: è un appuntamento fisso per il nostro uomo medio, uscire – d’estate – e trovarsi nel bel mezzo di un’iniziativa culturale di pregio, sotto le stelle, con sfondi mozzafiato.

Dunque, perché non lanciare, da questo piccolo spazio, una sorta di provocazione agli amministratori pubblici e agli imprenditori privati?

Tempo fa passai di fronte a un vecchio diurno, e mi venne da pensare: ecco che luoghi come questi sono stati completamente soppiantati dall’avvento della tecnologia e del progresso: la Storia li ha dichiarati totalmente inservibili per la comunità. Non avviene la medesima cosa coi teatri? Pensateci bene: a esaurirsi non è tanto un luogo fisicamente detto; un qualsiasi luogo si spegne quando smette di essere utile alla comunità, quando smette di essere calpestato frequentemente, percorso, vissuto. Allora delle due l’una: o far tornare i teatri fondamentali per la collettività; o andare alla ricerca dei luoghi abitati e vissuti da quest’ultima e portarci il teatro.

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People bowing to audience. Group of actors in dark colored clothes on rehearsal in the theater.

Immaginate, solo per un momento, se la gente perdesse all’improvviso l’interesse per il vino e lo riacquistasse per i teatri o i musei: i maggiori produttori non andrebbero forse a caccia dei propri clienti nei luoghi dove usano assembrarsi (con prudenza, ovviamente, dati i tempi)?

E soprattutto – provocazione numero due: i suddetti produttori non farebbero di tutto per tentare di inserire la degustazione del proprio prodotto nel clima teatrale e culturale in cui si muovono i suoi potenziali clienti, per creare maggiore consapevolezza dell’utilità di un prodotto?
Ultima provocazione: perché non dichiarare comunitariamente inservibili alcuni presunti luoghi della cultura? Così, tanto per vedere l’effetto che fa. Sento colleghi lamentarsi dell’ennesimo Teatro in procinto di diventare centro commerciale. Ma se un Teatro chiude è perché non lavora, non chiama, ha smesso di essere al centro della comunità cittadina (o di quartiere); se i maggiori stadi della serie A si rimpiccioliscono e cominciano a offrire anche altro oltre la consueta partita (servizi ristorante, visite guidate), perché il Teatro dovrebbe restare immutabile?

Ecco molte strutture teatrali (anche prestigiose) fare la fine di quel diurno di cui sopra: l’umanità, la vita, come la natura, si riprende organicamente tutto ciò che natura, vita e umanità non è. La vecchiaia quindi, o diventa stagionatura, oppure rischia di divenire solo un segnale di progressiva decadenza.

“La gente va dove c’è energia” soleva dire un grande Maestro. Un teatro è un edificio pubblico che al pubblico si apre né più né meno di un ristorante, un locale dove ritrovarsi per cercare riparo, compagnia, conforto. E l’energia che pervade luoghi del genere, non può essere creata dalle sovvenzioni o da provvedimenti esterni: viene fuori dalle necessità estreme dell’essere umano e della comunità in cui vive.

Ecco spiegato il grande successo delle iniziative culturali estive e il progressivo flop di alcune che si svolgono d’inverno: altri luoghi sono necessari; e non, badate bene, per imporre cultura; ma per crearne un’altra che derivi dall’essenza e dalla ragione principale dell’esistenza dell’Arte. La creazione di una consapevolezza collettiva, che sia vera, pure se della durata di un attimo. Basterà.

Francesco Tozzi
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