Intervista alla giallista Serena Venditto 1

Intervista alla giallista Serena Venditto6 min read

Nell’ultimo racconto un gatto detective gira per le strade di Napoli alla ricerca di un assassino. Per la napoletana Serena Venditto, scrittrice per Mondadori, la realtà del giallo è una specie di sit com all’Agatha Christie, con tanto humor, molti dialoghi e personaggi insoliti come il felino nero Mycroft (ispirato al fratello immaginario di Sherlock Holmes) che, con la sua sublime e indiscussa intelligenza, aiuta un gruppo di co-inquilini squinternati a risolvere omicidi. Li ritroviamo in un racconto dell’antologia “Gatti neri e vicoli bui” (Homo Scrivens 2022) mentre nel 2021 per Mondadori è uscito “Grand Hotel. Natale in giallo per quattro coinquilini e un gatto nero”, nuova puntata di una serie che vede protagonisti gli amici e il gatto, sempre alle prese con un delitto. Fan del calcio Napoli e della letteratura inglese dell’800, occhi verdi, chioma fiammante e piglio ironico-colto, Serena Venditto è anche archeologa del Mann, il Museo Nazionale di Napoli. E di vino ne sa qualcosa.

Serena, all’inizio era Orazio con “nunc est bibendum”. Cosa è cambiato da allora?
“Il vino è sempre stato protagonista dei momenti della socialità: prima ancora di Orazio, basti pensare al simposio in Grecia, dove però era tutt’altro che puro. Quella era considerata una cosa da ubriaconi al porto del Pireo”.

Invece al simposio?
“Il vino puro era troppo forte e annebbiava la mente, perciò nei simposi si allungava con acqua e spezie proprio per prolungare la lucidità e avere modo di chiacchierare e parlare perché il vino, appunto, nasce come occasione sociale, d’incontro, di dialogo, di leggera ebbrezza che fa venire in mente le idee migliori. Secondo gli antichi le decisioni importanti si prendevano due volte: la sera dopo aver bevuto, e la mattina seguente, se si era ancora d’accordo con quello che si era deciso la sera prima e si riconfermava a mente lucida”.

Il vino come strumento di comunicazione nella società, sin dall’antichità. E in letteratura?
“Credo che ancora oggi il vino continui ad avere questa valenza di affratellamento: condividere la stessa tavola con il vino equivale a condividere lo stesso piacere. Un piacere che nella letteratura aumenta, perché dà modo di raccontare delle storie innescandovi il senso del gusto”.

Non solo nella poesia ma anche nella narrativa il vino è sempre stato molto presente?
“Sì, anche nella vita privata di alcuni scrittori famosi, che amavano il vino e gli alcolici in generale. Anche se per esempio Gabriel Garcia Marquez raccomandava di non scrivere mai ubriachi, o comunque di non bere mai prima di scrivere: diceva che bisogna essere in forma come dei pugili, perché l’avversario è tosto… L’avversario è, naturalmente, la pagina bianca! Io devo dire la verità con un calice di Aglianico scrivo molto bene”.

E il suo primo romanzo, “Le intolleranze elementari”, è ambientato in un bar…
“Sì, in un bar che è un non luogo di passaggio e, come tutti i non luoghi, è generatore di storie. E ovviamente il bar e il vino sono profondamente legati tra loro, tra l’altro nella storia poi il vino c’entra particolarmente, visto che una delle protagoniste scopre di essere malata perché una sera beve…”

Quindi il vino fa venire fuori anche cose nascoste. E nel giallo?
“Nella narrativa gialla oggi c’è una forte tendenza a mettere scene di vino e di tavola in generale. Per esempio il commissario Montalbano di Andrea Camilleri non parla mentre mangia però la tavola gli fa sempre venire ottime idee, e c’è sempre una bottiglia di bianco ghiacciato che lo accompagna. Beve il whisky, la sera quando deve meditare. Penso anche a uno scrittore come Marco Malvaldi: i suoi gialli – I delitti del BarLume – sono ambientati in un bar e altri hanno come investigatore Pellegrino Artusi che è stato il grande gastronomo della storia italiana e che certo apprezzava anche dell’ottimo vino”.

E i suoi personaggi?
“Li faccio sempre mangiare e bere con grande generosità. Spesso faccio bere a loro quello che io per ragioni di linea non posso toccare, mi sfogo mettendo grandi dosi di Falerno del Massico, che è il mio vino preferito o di Aglianico. Loro bevono sempre, anche quando io non me lo posso permettere, perché penso che la tavola sia un luogo fondamentale soprattutto per noi italiani che abbiamo il culto della contubernalità, dello stare insieme mangiando e bevendo bene. In altri Paesi non è così”.

Quindi la narrativa rispecchia l’evoluzione della società italiana nell’uso del vino?
“Secondo me sì, ha un ruolo centrale, e sarebbe strano il contrario, visto il rapporto che abbiamo con questo elemento dal punto di vista culturale, che arriva dai greci. Noi comunichiamo attraverso il cibo. Una narrazione per essere completa deve farci vedere la personalità di un personaggio o lo stato di una situazione e questo lo si evince anche attraverso il vino”.

Nella sua serie i coinquilini però preferiscono il caffè o il tè.
“Bevono moltissimo perché sono rappresentati in una situazione molto anglosassone, anche se sono a Napoli. Io sono innamorata del giallo inglese, perciò i miei libri hanno un’impostazione teatrale e i miei personaggi, quando sono lì che parlano, chiacchierano, si confidano, devono per forza avere una bevanda d’accompagnamento. Ma il vino a casa loro non manca mai”.

Nei film invece prevale il politically correct: alcol e fumo al bando. Sono lontani i tempi di Casablanca…
“Secondo me sono più marginalizzati i superalcolici, come magari il whisky, che è sempre bevuto dal cattivo. Il vino non viene percepito come alcol che crea dipendenza o che ti uccide il fegato. Adesso è stato sdoganato anche per le donne incinte che ogni tanto mezzo bicchiere se lo possono concedere. Il vino secondo me fa molto bene, non causa gli stessi danni di bevande più forti”.

Lei che vino preferisce?
“Il rosso e una ristrettissima selezione di bianchi tra cui principalmente il Vermentino”.
Possiamo aspettarci da lei un altro libro dove il vino farà da coprotagonista?
“Sicuramente, tra l’altro il vino può splendidamente ospitare un veleno, quindi, sì, perché no”.

L’autrice
Napoletana, 42 anni, Serena Venditto lavora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ha esordito nella narrativa con il romanzo Le intolleranze elementari (Homo Scrivens, 2012). Aria di neve (Homo Scrivens, 2014, Mondadori 2018) è il primo volume di una serie giallo-umoristica con protagonisti il gatto detective Mycroft e un gruppo di coinquilini impiccioni. Nel 2019 il nuovo capitolo con L’ultima mano di burraco. Quattro coinquilini e un’indagine (per non parlar del gatto) (Mondadori), nel 2020 l’ebook gratuito Malù si annoia. Quarantena in giallo per quattro coinquilini e un gatto. L’ultimo romanzo è Grand Hotel. Natale con delitto per quattro coinquilini e un gatto (Mondadori 2021). A maggio 2022 ha pubblicato un racconto nell’antologia “Gatti neri e vicoli bui” (Homo Scrivens).
Cura per Napoliclick la rubrica #barsport

Ida Palisi
Latest posts by Ida Palisi (see all)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *